10.07.2014
ASSEMBLEA ABI: LA RELAZIONE DEL PRESIDENTE PATUELLI
I MERCATI E LA CRISI
Dopo sei anni di una crisi che ha prodotto una lunga recessione, non basta fare ogni sforzo per la ripresa, non basta approfondire le statistiche, non è sufficiente leggere flussi, previsioni e andamenti.
Con sguardo severo e rigoroso occorre una riflessione intellettuale all’altezza di un passaggio storico tanto importante per analizzare le cause profonde della più lunga e grave crisi del dopoguerra, per comprenderle e contrastare la preconcetta disillusione verso la cultura del mercato che è uno dei più pericolosi virus che la crisi ha portato e che rischia anche di minare le basi del funzionamento della Democrazia occidentale.
La crisi, nata oltre Oceano e oltre Manica, è innanzitutto frutto di economie e di una finanza dagli sguardi miopi che hanno assecondato tendenze favorevoli all’eccesso del rischio, al guadagno troppo rapido, massimo e talvolta avido; hanno incoraggiato l’indebitamento eccessivo, disincentivando capitalizzazioni, rafforzamenti patrimoniali, inducendo propensioni a consumi non proporzionali alle capacità reddituali.
Una crisi derivata anche da tendenze di anarco-capitalismo che si sono sviluppate oltreoceano e oltremanica proprio nella fase storica nella quale “capitalismo” e “mercato” hanno trionfato dopo la caduta dei regimi novecenteschi dell’Est europeo e con la globalizzazione dei mercati e delle comunicazioni.
Il capitalismo senza più rivali, salvo il confronto tuttora sottovalutato con la finanza islamica, è, quindi, talvolta divenuto più egoista e più imprudente.
Ma quando si è invertita la tendenza espansiva dell’economia, quando la crescita ha dovuto arrestare la sua corsa, sono esplose le contraddizioni di quel capitalismo con troppo poche regole e talvolta anche poca etica. E così sono emersi i più gravi scandali come le manipolazioni truffaldine di cambi e di indici di mercato.
Questi casi hanno fatto germogliare nuove tendenze anticapitaliste e antimercatiste, non più in nome del ritorno ai caduti miti del Novecento, ma assecondando frustrazioni, interpretando e cavalcando neo nazionalismi, con stati d’animo fortemente caratterizzati da populismi.
Tutto ciò rischia di confondere una grave crisi “nel” capitalismo con la crisi “del” capitalismo.
E questa è, davvero, la prima questione decisiva.
L’ITALIA E L’EUROPA
Cause ed effetti, verità e luoghi comuni di questa crisi trovano in Italia una lettura talvolta paradossale.
La crisi non è nata in Italia, dove gli eccessi sono stati molto più limitati che altrove, ma ha trovato l’Italia debole, con un enorme debito pubblico, condizionata da un circuito vizioso di alte tasse e forte evasione fiscale che appesantiscono i costi di produzione e deprimono i consumi.
Gli scandali internazionali ed europei delle manomissioni degli indici di mercato non sono avvenuti in Italia, così come nessuna banca italiana è fallita o è stata nazionalizzata.
In Italia non sono mancate le crisi bancarie, ma sono state sopportate dagli azionisti, tutti privati, e dal comparto bancario nel suo complesso, anche attraverso il Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi che utilizza solo risorse private delle banche.
Quelli che vengono citati come strumenti con i quali lo Stato Italiano avrebbe aiutato le proprie banche - i Tremonti e i Monti bond - sono stati prestiti costosissimi che pochissime banche hanno contratto e che stanno pagando con i cospicui interessi, anche in anticipo sui tempi. Altro che regali di Stato alle banche italiane! Non erano e non sono regali dello Stato, ma supporti straordinari ai capitali a prezzi vantaggiosi per lo Stato.
Ma la crisi finanziaria venuta da lontano è divenuta in Italia anche una crisi produttiva e sociale e infine una crisi morale e di identità culturali.
La diffusa ostilità all’Europa e alla sua più ambiziosa e ardita realizzazione, la moneta comune, sintetizza questi malesseri diffusi che rischiano di allontanare l’Italia dall’Occidente per farla scivolare inconsapevolmente verso peronismi sudamericani o nei gorghi di un Mediterraneo di nazionalismi antistorici e lontani dall’Europa e dall’Occidente.
Per questo occorrono severe e rigorose analisi critiche della crisi “nel” capitalismo: per correggere distorsioni ed estremismi bisogna definire una nuova cultura delle regole di mercato, nel mercato, capaci al contempo di non soffocarlo e garantirne un più corretto ed equilibrato funzionamento.
Occorre non subire l’Europa, ma esserne protagonisti costruttivi, correggendo innanzitutto le contraddizioni interne, le anomalie che penalizzano l’Italia, consapevoli che la crescita economica non possa essere perseguita per un tempo prolungato attraverso un sempre più enorme debito pubblico.
In tale quadro occorre apprezzare il ruolo fondamentale e lungimirante della Banca d’Italia, riconosciuto anche internazionalmente, proprio nel culmine della crisi, innanzitutto dalla nomina di Mario Draghi alla guida della BCE.
La BCE ha compiuto scelte decisive per il salvataggio della moneta, per il risanamento del sistema finanziario europeo con nuove regole che attribuiscono inscindibilmente responsabilità e oneri a chi li assume, senza poterli scaricare su altri.
L’Unione Bancaria europea, con regole identiche per tutti, è una condizione essenziale per la competizione di mercato senza privilegi e discriminazioni.
Il paradosso italiano è lo sconforto e la diffidenza troppo ampia che configurano una malattia morale che non è solo motivata dalle cause e dagli effetti della crisi, ma che viene da più lontano e sconta anche i limiti pluridecennali di una democrazia malata che non ha un coerente modello di democrazia occidentale e ne soffre le conseguenze senza individuarne con nitidezza le cause e per lunghi anni ha stentato a compiere scelte giuste, coraggiose e lungimiranti indipendentemente dagli umori dei sondaggi.
IL SEMESTRE DI PRESIDENZA ITALIANA rappresenta una importante opportunità per il nostro Paese per svolgere un ruolo attivo e positivo in Europa per il rilancio dell’integrazione e anche per un deciso passo in avanti in materia di unione politica. Il cancelliere Helmut Kohl sosteneva, infatti, che “l'unione politica è la contropartita indispensabile per l'unione economica e monetaria ( ... ). E’ fallace pensare si possa sostenere l'unione economica e monetaria in modo permanente senza unione politica”.
Il Rapporto che ha fornito la base per il Trattato di Maastricht affermava che l'Unione economica e monetaria avrebbe bisogno di “un alto grado d’integrazione delle politiche economiche (…) in particolare nel settore fiscale”.
Occorre recuperare in pieno la nitida visione strategica dei padri fondatori dell’Europa come Luigi Einaudi scrisse nel tragico 1944:
“Il disordine attuale delle unità monetarie in tutti i paesi del mondo, le difficoltà degli scambi derivanti dall’incertezza dei saggi di cambio tra un paese e l’altro e più dalla impossibilità di effettuare i cambi medesimi, hanno reso evidente agli occhi di tutti il vantaggio che deriverebbe dall’adozione di un’unica unità monetaria (…) dappertutto in Europa, (…) quanta semplificazione, quanta facilità nei pagamenti, nei trasferimenti di denaro, nei regolamenti dei saldi! (…)
“Il vantaggio del sistema non sarebbe solo di conteggio e di comodità nei pagamenti e nelle transazioni interstatali. Per quanto altissimo, il vantaggio sarebbe piccolo in confronto di un altro, di pregio di gran lunga superiore, che è l’abolizione della sovranità dei singoli stati in materia monetaria. Chi ricorda – aggiungeva Einaudi - il malo uso che molti Stati avevano fatto e fanno del diritto di battere moneta non può aver dubbio rispetto alla urgenza di togliere ad essi cosiffatto diritto. Esso si è ridotto in sostanza al diritto di falsificare moneta (…). E cioè – continuava Einaudi – al diritto di imporre ai popoli la peggiore delle imposte, peggiore perché inavvertita, gravante assai più sui poveri che sui ricchi, cagione di arricchimento per i pochi e di impoverimento per i più, lievito di malcontento per ogni classe contro ogni altra classe sociale e di disordine sociale. La svalutazione della lira italiana e del marco tedesco – sottolineava Einaudi -, che rovinò le classi medie e rese malcontente le classi operaie fu una delle cause da cui nacquero le bande di disoccupati intellettuali e di facinorosi che diedero il potere ai dittatori”.
Insomma noi nel ventunesimo secolo ci troviamo a dover risolvere una crisi “nell’Europa” e non “dell’Europa”.
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LE BANCHE ITALIANE E LA CRISI
In Italia le imprese bancarie e le imprese in genere hanno sopportato e continuano a subire da sole gli effetti della crisi senza “bad banks”, senza aiuti di Stato e con alti livelli di tassazione.
Questa situazione d’emergenza, se si prolungasse, rischierebbe di compromettere la ripresa italiana delle produzioni e dei servizi in un mondo globalizzato e in un’Europa fortemente integrata economicamente, dove manca soprattutto l’ “Unione fiscale”, cioè l’uniformità delle regole fiscali.
Infatti, dopo la creazione dell’Unione economica europea, di quella doganale, dell’unità monetaria e ora anche con l’Unione bancaria è indispensabile e sempre più urgente anche una riforma della tassazione in questo mercato più che mai unico. Altrimenti le asimmetrie e in particolare l’eccesso di pressione fiscale in Italia, innanzitutto sui fattori produttivi fra cui le banche, trasformerebbe l’Europa da vincente strategia, in fonte di contraddizioni penalizzanti per chi mantenesse le più alte tassazioni.
Tali disparità, se prolungate, rischierebbero di penalizzare gravemente l’Italia nello sviluppo e nell’occupazione, nei livelli di qualità sociale.
Dobbiamo, quindi, avere piena consapevolezza che la soluzione dei cronici mali italiani non sta in tardive nostalgie di un passato irrimediabilmente superato e che non torna: l’improbabile ritorno alla Lira porterebbe effetti nefasti soprattutto per i più deboli e per i risparmiatori, sarebbe un crudele attacco all’equilibrio sociale, un rimedio peggiore del male.
La via da seguire è diversa, richiede senso di responsabilità e implica innanzitutto la piena e coerente adozione dei principi, dei doveri e diritti fondamentali di una matura civiltà economica e democratica. Sono doveri e diritti e senso di responsabilità che non riguardano solo imprese e cittadini, ma richiedono una rinnovata consapevolezza del ruolo “di esempio” dello Stato e delle sue articolazioni territoriali.
Le grandi speranze in un modello federale delle istituzioni italiane si sono infrante sul confuso e conflittuale regionalismo che è scaturito dalla riforma del 2001 del Titolo Quinto della Costituzione che non ha realizzato l’attesa semplificazione e riforma dello Stato, ma un ulteriore appesantimento di strutture istituzionali e legislative.
I lentissimi pagamenti dei debiti della Pubblica Amministrazione hanno accentuato la crisi assommandosi all’alta pressione fiscale.
Solo realizzando riforme, innanzitutto costituzionali, non confuse, ma frutto delle grandi culture occidentali e innestando un circuito virtuoso con più etica e più efficienza, a cominciare dalle Istituzioni, si potrà costruire davvero una non effimera speranza e favorire una ripresa veramente solida e duratura.
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In Italia la realizzazione delle privatizzazioni delle imprese bancarie, fortemente e diffusamente volute, ha, però, acuito un clima di maggiore preconcetta diffidenza verso le banche.
L’Italia non appartiene storicamente al novero dei paesi più ricchi d’Europa e ancora subisce le conseguenze di un assai difficile Novecento acuito proprio un secolo fa dalla terribile Grande Guerra che, seppur vittoriosa, fu rovinosa per la giovanissima democrazia italiana.
Dal 1926 furono, quindi, sviluppate politiche di “pietrificazione” del debole mondo bancario dell’epoca, penalizzato anche dai costi economici e dai salvataggi industriali del primo dopoguerra e poi dall’arrivo anche in Italia della “grande crisi”. Le nazionalizzazioni degli anni Trenta irrigidirono gran parte del mondo bancario italiano che fu coinvolto in diverse crisi e scandali e che vide, accanto a esempi mirabili come la Banca Commerciale di Raffaele Mattioli, anche frequenti casi di politicizzazione delle pratiche creditizie con problemi di stabilità bancaria e interventi di risorse pubbliche anche camuffate dalla dizione di “fondi di dotazione”. Quelle pratiche politicizzate e anche clientelari del credito pubblico diseducarono i costumi di troppa parte di quegli italiani che si abituarono a concessioni di credito con dubbi presupposti.
Le privatizzazioni bancarie hanno rappresentato una fortissima svolta, consolidata col “Testo Unico” del 1993 che ha riconosciuto in pieno alle Banche il ruolo di imprese quali sono, tutte private e tutte in concorrenza.
Fu un passaggio epocale, anche con un progressivo e sempre più significativo affinamento nelle tecniche del credito, con sempre maggiore attenzione al merito creditizio, alla misurazione e alla gestione del rischio e a tutti quei principi, spesso anticipati dalla Banca d’Italia, che hanno trovato negli anni formalizzazione nelle normative europee.
La natura di imprese delle Banche italiane è ben compresa dai milioni di azionisti bancari che realizzano uno dei momenti più evoluti di democrazia economica del nostro Paese, ma spesso non è del tutto “metabolizzata” sia dalle Istituzioni, spesso dimentiche delle responsabilità di azionisti e di amministratori, sia da settori di popolazione prima troppo abituati alle false comodità di un credito che da vent’anni non è più a fondo perduto, ma attività di impresa che risponde a regole di legge e di mercato.
E’, quindi, dalla fine degli anni Novanta che si è dipanata questa situazione di critiche preconcette verso le banche italiane che va corretta con un maggiore senso di responsabilità da parte di tutti a cominciare dalle Istituzioni.
Infatti le Banche in Italia hanno sopportato, assieme alle imprese e alle famiglie, il peso della crisi con uno Stato che non ha effettuato i salvataggi, frequenti negli altri paesi d’Europa e negli USA, ma che ha addirittura accentuato la pressione fiscale sulle Banche.
A questo clima, a queste politiche fiscali, occorre una svolta decisa di senso di responsabilità, se non si vuole penalizzare non solo le Banche, ma tutto il circuito produttivo italiano.
Le Banche in Italia, di ogni tipo e natura, pensano ed operano in positivo, combattono ogni elemento di decadenza, rappresentano una frontiera avanzata di innovazione di imprese tutte in concorrenza fra loro, sono impegnate quotidianamente per la legalità in un Paese eccessivamente abituato all’evasione fiscale e all’illegalità. Anche per questo le Banche in Italia spesso non sono amate: ma la legalità è una fondamentale e prioritaria esigenza da diffondere. E quando emergono e vengono giudiziariamente accertati casi di violazione di leggi da parte di esponenti bancari, la nostra indignazione è ancor maggiore di quella che quotidianamente proviamo verso la troppo diffusa trasandatezza civile che caratterizza un’Italia che è troppo assuefatta ai casi quotidiani di corruzione, di evasione fiscale e di criminalità in genere che configurano una vera crisi dell’etica pubblica. Concepiamo la “difficile arte del banchiere” non come una professione come le altre, ma come la più complessa e responsabile che deve basarsi sempre innanzitutto sull’intransigenza morale, non solo nell’applicazione continua di tutte le leggi, ma anche con un’austerità morale che non può e non deve subire eccezioni.
Chi guida le banche deve avere alti ideali e forte determinazione come ebbero i volontari nel Risorgimento, i giovani universitari toscani a Curtatone e Montanara nel ’48 e i garibaldini a Calatafimi nel ’60.
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In questi sei anni di crisi i prestiti bancari in Italia sono passati dai 1.555 Miliardi di euro dell’agosto 2008 ai 1.711 Miliardi di Euro dell’aprile scorso con un picco nel luglio 2012 con 1.800 miliardi di Euro.
In Italia, oltre una impresa su quattro è divenuta “deteriorata”. Le sofferenze lorde nello stesso periodo sono passate da 43 a 166 miliardi di Euro. Il complesso dei crediti deteriorati ha superato i 290 miliardi di euro (da 86,5 miliardi di fine 2008).
Il deterioramento dei crediti è stato fronteggiato con giganteschi accantonamenti e con ben quasi cinquanta miliardi di Euro di aumenti di capitale, tutti privati e senza alcun intervento pubblico. Questi sono elementi emblematici di sforzi esemplari di rafforzamento di solidità, presupposti di ripresa dello sviluppo e dell’occupazione.
Questi comportamenti bancari non dovrebbero essere sottovalutati da nessuno, ma incoraggiati in ogni settore istituzionale e produttivo, sulla base di politiche che non penalizzino, ma incoraggino i fattori tutti del risparmio, degli investimenti e delle produzioni, oltretutto in una fase di forti rischi per gli equilibri internazionali, dall’Ucraina al Nord Africa e al Medio Oriente tutt’altro che stabilizzati, né pacificati.
La riduzione degli spread verso i titoli di Stato tedeschi ha limitato gli effetti del peso dell’enorme debito pubblico italiano, ma i sintomi di ripresa sono ancora limitati, frenati innanzitutto dalle croniche debolezze italiane.
Infatti, fra i principali paesi europei, l’Italia, dall’inizio della crisi, ha subito un’acuta caduta del Pil e sta vivendo una debole ripresa. La produzione industriale sta mostrando lievi segni di miglioramento, ma di questo passo si dovrebbero attendere anni per ritornare ai livelli pre crisi.
La disoccupazione è molto alta e si dilata la sotto occupazione “in nero”.
L’economia italiana è appesantita anche dalle difficoltà di combinare efficacemente i fattori produttivi, dalla molto limitata dimensione delle imprese, dalla loro frequente sottocapitalizzazione, dagli scarsi investimenti nella ricerca, dal mercato del lavoro, dai tempi della giustizia civile lunghi un multiplo rispetto a quelli delle altre principali economie, dai limiti nelle infrastrutture e dai tempi della Pubblica Amministrazione.
Tutto ciò pesa su tutte le imprese fra cui le Banche che hanno subito un significativo declino di redditività: negli ultimi tre esercizi è negativa la redditività media dei primi quaranta gruppi bancari italiani, evidenziando complessivamente andamenti peggiori rispetto alla media UE. Anche se ora rallentano i nuovi flussi di sofferenze, lo stock accumulato, nonostante le iniziative delle banche, non sarà rapidamente smaltibile e potrà evidenziare riprese di valore soltanto se il quadro economico italiano darà segni ben maggiori di ripresa.
Inoltre la raccolta bancaria continua ad essere inferiore agli impieghi, non favorita da quello che, invece, fu l’acume di De Gasperi che, nel secondo dopoguerra, vide nel risparmio e negli investimenti il volàno per la ripresa.
In questi ultimi anni le Banche, che come sempre sostengono tutte le imprese, hanno anche attivato in Italia ogni tipo di iniziativa per contrastare la crisi e hanno partecipato a molteplici accordi fra pubblico e privato: oltre 400mila piccole e medie imprese hanno usufruito delle moratorie per oltre 20 miliardi di liquidità aggiuntiva, mentre oltre centomila famiglie in difficoltà hanno avuto sospensioni dei mutui.
La collaborazione tra la Cassa Depositi e Prestiti e le Banche, per misure a sostegno di imprese e famiglie, ha prodotto una serie di accordi che hanno stanziato risorse per complessivi 22,5 miliardi di euro, per accrescere la competitività produttiva italiana a cominciare dalle piccole e medie imprese, dal mercato immobiliare e a seguito di eventi sismici.
Invece sulle Banche in Italia, negli ultimi cinque anni, sono “piovuti” più di 670 provvedimenti normativi (circa due e mezzo a settimana!), sia di natura burocratica e regolamentare (con effetti sui sistemi informatici, sulle procedure e quindi “non a costo zero”), sia con impatti economici importanti come riduzioni e limitazioni alle commissioni e ai tassi di interesse, imposizioni di clausole contrattuali, revisioni alle basi imponibili IRES e IRAP, alterazioni di pre-esistenti assetti negoziali in contratti di durata, imposte variamente definite di bollo, correzioni di normative sul calcolo degli interessi, sempre più gravosi anticipi di pagamenti di imposte.
Il tutto in modo non organico, spesso senza proporzionalità, senza un disegno economico di lungo periodo, creando incertezza del diritto e nel diritto, senza valutare appieno gli effetti distorsivi che alcune scelte regolamentari generano sui comportamenti e sulle offerte di servizi e prodotti. Mentre nell’Unione Europea serve anche un uniforme diritto penale dell’economia per evitare disparità e contraddizioni.
Insomma, mentre in altre parti della UE e negli USA anche gli Stati intervenivano per salvare le banche, mentre la Repubblica italiana ha perfino elargito contributi di decine di miliardi all’Unione Europea per salvare altri paesi dai rischi di bancarotta, in Italia, invece, il settore pubblico non ha speso un Euro, ma ha aumentato più volte i pesi sulle Banche.
Tuttora, infatti, sussistono penalizzazioni delle attività bancarie in Italia rispetto alle concorrenti nella UE: dal trattamento delle svalutazioni e perdite sui crediti a quello del costo del lavoro ai fini IRAP, dagli interessi passivi nella tassazione societaria IRES e IRAP, all’IVA di gruppo, dall’ampio ruolo di sostituto d’imposta a vari calmieri dei prezzi - anche se altrimenti definiti - fino alle addizionali sorprendenti e talvolta anche tardive.
Inoltre in Italia le Banche espletano gratuitamente ben 21 attività obbligatorie verso le Pubbliche Amministrazioni soprattutto nell’impegno per la legalità.
Chiediamo, quindi, alle Istituzioni della Repubblica un forte ripensamento di queste normative avverse: non sollecitiamo privilegi di alcuna natura, ma chiediamo con forza che le Banche che operano in Italia non siano penalizzate nella competizione del mercato unico europeo. Altrimenti le conseguenze sarebbero gravissime e con effetti prolungati su tutto il mondo produttivo e su tutta la società italiana.
Insomma, è ora di riconoscere in Italia il ruolo decisivo e positivo delle Banche a sostegno dell’economia e della legalità con gradi di efficienza superiori a quelli della Pubblica Amministrazione e anche di diversi altri settori produttivi.
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SISTEMI DI PAGAMENTO E SEPA
Tra i cambiamenti che caratterizzano il 2014 vi è il passaggio alla SEPA. E’ un cambiamento epocale: stiamo abbandonando i servizi di pagamento nazionali, le infrastrutture, le procedure, i modelli organizzativi costruiti in decenni, per adottare servizi nuovi e comuni a livello europeo. È una vera rivoluzione che tocca tutte le fasi e i processi dei servizi di pagamento.
La complessità di questo progetto è testimoniata dagli oltre 12 anni di intenso lavoro e dall’impegno straordinario degli ultimi mesi per superare le difficoltà per giungere alla completa e definitiva migrazione alla SEPA.
In un mondo in così rapida e profonda trasformazione, le Banche italiane in questi anni hanno corso più delle altre, recuperando anche i ritardi dovuti a sessant’anni di limitazioni dirigistiche.
Ora, per tecnologie, per processi, prodotti e servizi, le Banche in Italia non hanno ritardi rispetto alle concorrenti estere: anzi, sono spesso all’avanguardia e hanno anche costituito gruppi europei e internazionali e un pluralismo bancario, fondamento degli alti gradi di concorrenza.
Grandi, medie e piccole banche, Società per azioni, Banche Popolari, Banche di Credito Cooperativo e Banche estere, particolarmente presenti e diffuse in Italia, sviluppano le differenze come elementi positivi di competizione di mercato e spesso anche di solidarietà sociale, sia diretta, sia tramite le benemerite attività delle Fondazioni di origine bancaria.
Il pluralismo bancario è una garanzia per l’Italia e non è riconducibile ad un unico modello organizzativo.
Le forti trasformazioni che le banche italiane hanno subìto a causa della crisi, hanno imposto profonde revisioni dei processi produttivi e anche la revisione delle reti degli sportelli che erano state irreggimentate per sessant’anni e si erano fortemente diffuse negli ultimi vent’anni dopo le liberalizzazioni e nella fase dello sviluppo economico.
Inoltre anche la rivoluzione continua delle nuove tecnologie ha imposto la profonda revisione dei processi produttivi e di vendita.
In questo quadro permane la pienezza della validità del Testo unico bancario, di continuo aggiornato in questi vent’anni, che concretizza la “costituzione bancaria” italiana sempre più inserita nell’Unione bancaria europea.
In tal senso apprezziamo lo spirito di collaborazione delle rappresentanze sindacali ogni volta che hanno contribuito a soluzioni costruttive.
Ora, di fronte alle sfide delle nuove complessità e alle serie difficoltà che gravano sulle Banche, siamo tutti insieme chiamati a riflessioni razionali, innovative e costruttive alla ricerca di nuove fasi di sviluppo produttivo nel quadro di nuovi contratti collettivi nazionali di lavoro sia per l’ABI, sia per il Credito Cooperativo.
Tutto ciò potrà favorire il dispiegarsi del ruolo delle Banche italiane in una difficile fase di passaggio che vede anche attrarre nuovamente capitali esteri che sono quanto mai indispensabili per rilanciare gli investimenti.
IMPRESE BANCARIE E ALTRE IMPRESE
Negli ultimi anni le banche italiane hanno fatto ogni sforzo per arginare la crisi e rafforzarsi con investimenti e razionalizzazioni che non possono e non debbono interrompersi.
Ugualmente occorre che le imprese in genere favoriscano una nuova stagione di finanziamenti alle loro attività che trovano più sostegno nelle banche quando vi è maggiore trasparenza nei bilanci delle imprese e vi è l’impegno degli imprenditori ad investire nelle loro imprese, non reclamando finanziamenti soltanto dalle banche.
IMPRESE BANCARIE E cultura del risparmio
Oltre alle misure straordinarie per affrontare le emergenze della crisi, le Banche in Italia – in costruttivo e apprezzato confronto con le associazioni dei consumatori – hanno avviato importanti iniziative per rendere sempre più semplice e chiaro il rapporto con la clientela.
Per colmare le lacune degli italiani in campo economico e finanziario, a partire dai ragazzi, è stata anche appena costituita dall’ABI la Fondazione per l’educazione finanziaria e al risparmio. Le nuove attività spaziano dalla creazione di materiale didattico innovativo e dal linguaggio comprensibile, fino all'organizzazione di eventi nelle scuole (e non solo) e alla rete. In Italia mancano, infatti, adeguate iniziative pubbliche per l'educazione civica e civile e per l'educazione finanziaria e al risparmio, che sono presupposti per la pienezza dei diritti di cittadinanza.
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CONCLUSIONI
Con l’Assemblea di oggi si concludono due anni molto complessi e importanti della nostra Associazione di cui ho assunto la Presidenza il 31 gennaio2013 inun momento particolarmente difficile.
Da allora l’obiettivo strategico prioritario dell’ABI, associazione di cultura e di regole, è stato ed è il perseguimento di regole identiche per le banche nel mercato unico europeo. Questa nostra bussola è frutto della profonda convinzione che soltanto con un piano completamente livellato le Banche e in genere le imprese italiane possono competere proficuamente. Altrimenti, con superiori pesi burocratici e fiscali, gran parte delle nostre imprese subirebbe sempre più la concorrenza. La nostra bussola ci conduce a non tentare di fuggire dal mercato, ci sollecita a parteciparvi in una competizione senza privilegi o discriminazioni.
Questa linea non ha alternative!
Con grande convergenza al nostro interno e determinazione, ci siamo mossi e siamo impegnati per far rimuovere tutte le anomalie italiane. In tale direzione apprezziamo in particolare le attività della Banca d’Italia.
Più complessi sono stati i rapporti con i tre Governi e con i due Parlamenti che si sono susseguiti in questi diciassette mesi: consideriamo importanti passi in avanti le correzioni di antecedenti norme che avevano peggiorato i contratti di leasing e il nuovo trattamento fiscale delle perdite sui crediti passato da 18 anni (quasi un’eternità economica) a cinque, ma non ancora adeguato agli standard per esempio di Francia e Germania ai quali è indispensabile presto pervenire.
In questa direzione è stata significativa e doverosa la rivalutazione del valore delle Quote della Banca d’Italia, ultima avvenuta fra le Banche centrali nazionali facenti parte della BCE. Si trattava di una misura attesa da decenni come testimoniato emblematicamente nel 1997 da Enrico Cuccia (la cui Mediobanca, peraltro, non ha mai posseduto Quote Bankitalia) che, in uno dei suoi ultimi promemoria, descriveva come il valore effettivo delle Quote fosse ben diverso e molto superiore a quello storico, fermo ai versamenti complessivi dei 300 milioni di Lire prebelliche del 1936.
La rivalutazione è avvenuta sulla base di calcoli avvalorati anche da soggetti indipendenti internazionali, senza ricorrere in alcun modo a risorse dello Stato come, invece, avrebbe implicato la nazionalizzazione varata antecedentemente dal Parlamento con l’articolo 19, comma 10 della legge 265/2005, ora abrogato.
Anche i competenti organismi dell’Unione Europea non hanno eccepito la rivalutazione delle Quote Bankitalia.
La definizione dell’aliquota di tassazione di tali plusvalenze e poi il suo abbondante e ritardato raddoppio, oltre che onerosi per le Banche e le Assicurazioni che detengono le Quote, non hanno dato la miglior prova internazionale di certezza del diritto in Italia con questa che sostanzialmente è stata una imposta patrimoniale retroattiva.
Senza alcun nesso logico, nel decreto IMU Bankitalia del 30 novembre scorso è stata anche inserita un’addizionale straordinaria estremamente gravosa di 8,5 punti sull’IRES 2013 con parallelo aumento al 130% dell’anticipazione IRES sempre per il 2013. Questa addizionale straordinaria contrasta non solo con le regole dell’equità e dell’uniformità dei trattamenti fiscali in Italia e in Europa, ma sfavorisce la ricapitalizzazione delle Banche italiane, oltretutto proprio nell’anno e in una fase storica di rigorosi esami europei verso le Banche.
Pertanto chiediamo con convinzione che almeno gli utili accantonati a patrimonio vengano sgravati da questa addizionale straordinaria con un equivalente credito d’imposta.
Vanno, invece, nella giusta direzione il “decreto Poletti” e la riduzione dell’IRAP sulle imprese, anche se finora troppo timida: è un inizio da sviluppare più coraggiosamente.
E’ importante la riforma dell’articolo 117 della Costituzione che è stata messa a punto in queste settimane e che tende fra l’altro ad abrogare le confuse “competenze concorrenti” fra Stato e Regioni fra le quali anche alcune, inammissibili e inapplicabili, sulle Banche di dimensioni regionali e locali.
Dall’inizio dell’anno, comunque, le banche italiane sono ampiamente impegnate in nuovi aumenti di capitale che servono non solo per meglio superare gli “esami” europei di questo 2014, ma ugualmente per avere maggiori capacità di effettuare ulteriori prestiti. Peraltro, già dall’inizio dell’anno i mutui sono cresciuti del 26%, i contratti di Leasing sono in ripresa e le Banche operanti in Italia si stanno preparando ad applicare tempestivamente le nuove linee della BCE che entreranno in funzione da settembre.
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E’ inutile che il sentimento dell’opinione pubblica sia spesso critico verso i paesi più forti dell’Europa se non si correggono davvero in profondità le cause di questi divari.
Su questi indirizzi l’ABI molto ha fatto e tanto dovrà fare.
Ringrazio per la fiducia e per la coesione tutti gli organi dell’Associazione: ringrazio, in particolare, coloro che hanno svolto gli incarichi più gravosi: ringrazio Camillo Venesio che è stato determinante, a cominciare dai giorni più complessi, nel creare un clima di forte fiducia e unità nell’Associazione e Francesco Micheli innanzitutto per la preziosa guida del Comitato affari sindacali e del lavoro e della Delegazione; così come ringrazio Emilio Zanetti e invio un saluto e un augurio di piena guarigione a Mario Sarcinelli. Ringrazio Maurizio Sella che mi ha rappresentato negli organi europei ampliando i nostri orizzonti. Ringrazio il Direttore Generale Giovanni Sabatini, i dirigenti e la struttura tutta dell’ABI per aver colto il nuovo clima e lo spirito di iniziativa che ho cercato di imprimere giorno per giorno. Un augurio di buon lavoro a Luigi Abete, nuovo Presidente della strategica Federazione bancaria, assicurativa e finanziaria.
In questi diciassette mesi abbiamo sviluppato strategie e affrontato emergenze, mai rassegnati, sempre con spirito critico costruttivo e di iniziativa.
I nuovi organi dell’ABI, che oggi saranno eletti, dovranno pure sviluppare riflessioni innovative anche su taluni aspetti delle regole di funzionamento della nostra Associazione, compresa una revisione statutaria che innalzi ulteriormente i requisiti di onorabilità collegandoli ancor più direttamente alle regole costituzionali, di legge e di vigilanza riguardanti gli amministratori delle Banche.
Ogni nostra riflessione ed azione è stata indirizzata con premesse di alto valore etico: gli interessi devono, infatti, sempre svilupparsi in coerenza con i principi costituzionali.
L’economia deve sottostare al diritto, ma innanzitutto all’etica per costruire un circuito virtuoso di progresso economico, sociale, giuridico e morale, coniugando l’economia con le virtù morali e civili, convinti che si debba lavorare instancabilmente e coerentemente per la pienezza della democrazia economica e civile, cercando di innalzare i poveri e gli ignoranti e non deprimendo gli agiati e i sapienti, con un’opera di concordia e non di guerra sociale, sempre per costruire e mai per dividere o distruggere, combattendo il pessimismo sterile.
Lavoriamo per un’altra Italia e per un’altra Europa, più costruttive e per un nuovo clima di fiducia, senza mai arrenderci di fronte alle difficoltà.
La ragione non si stanca di combattere.