26.07.2013

NUOVA MOSTRA AL "PRIVATE BANKING" DELLA CASSA A RAVENNA SU: "LA CAVEJA CANTARENA: INSEGNE E RITUALITA' NELLA FAMIGLIA CONTADINA"

La Cassa di Risparmio di Ravenna S.p.A. ospita, presso le proprie vetrine del “Private Banking” (ex Negozio Bubani) di Piazza del Popolo n.30, fino a tutto il prossimo 7 agosto, una particolare ed articolata Mostra su “La Caveja Cantarena: insegne e ritualità nella famiglia contadina”.
Fra le numerose e interessanti iniziative del Museo Etnografico “Sgurì”, di Romano Segurini, a Savarna (RA), è stata recentemente allestita una mostra di oltre 150 caveje, materiale di pregio concesso per l’occasione da diversi collezionisti. Affinchè l’iniziativa non restasse fine a se stessa è stato approntato un catalogo in cui sono raccolte le immagini delle opere esposte, correlate da un qualificato contributo storico-sociale di Vanda Budini, esperta del territorio, delle tradizioni e della cultura della Romagna.


Nelle vetrine del “Private Banking” viene ora appositamente esposta una parte di queste caveje, con l’intento di diffondere la conoscenza di questo oggetto della cultura contadina, che da tempo è diventato il simbolo della Romagna.
L’origine della caveja si perde a ritroso nel tempo; alcuni esemplari conservati da collezionisti o nei musei etnografici, risalgono alla seconda metà del XVI secolo. Nata come umile strumento di lavoro contadino, fissata nel timone del carro in contrapposizione al giogo imposto sul collo dei bovini, aveva la funzione di impedire in caso di fermata o percorso in discesa, che il carro andasse ad investire i buoi che lo trainavano, scaricando la spinta del carro sul giogo.


Col passare del tempo la caveja subì un’evoluzione che la trasformò anche in un oggetto di rappresentanza. I bravi fabbri la realizzavano da un unico pezzo di metallo, ricavandone la pagella (la parte alta) con la battitura.
Sulla cima della pagella, la cimasa, potevano essere applicati pomelli rotondi o ghiandiformi di bronzo o di acciaio, mentre con la lavorazione della pagella si realizzavano diverse forme, con soggetti araldici, religiosi, floreali, astrali, del mondo animale o dell’immaginario. Veniva corredata di anelli che secondo il loro numero e il metallo impiegato, emettevano diversi suoni tintinnanti durante il percorso e che facevano intendere anche l’andatura più o meno spedita del carro.
La caveja poteva essere decorata con fiocchi colorati, sempre in numero pari, che identificavano la provenienza del proprietario: ad esempio i colori giallo e rosso erano di Ravenna, bianco e azzurro di Faenza, bianco e rosso di Forlì, rosso e verde di Lugo.
Possedere una caveja di fattura artigianale come sopra descritto non era alla portata di tutte le famiglie: data la lavorazione richiesta per realizzarla, il costo era relativamente alto, perciò per chi la possedeva era anche un simbolo di distinzione sociale.


Verso il 1930 alcune fonderie cominciarono a produrre in serie le caveje che persero così la loro originalità. Le vicende belliche hanno disperso o distrutto molti di questi oggetti, spesso fusi per la necessità di impiegarne il ferro. Ma terminata l’era dei carri trainati dai buoi, l’interesse collezionistico ha fatto sì che parte del materiale non andasse disperso e potesse giungere fino al nostro presente, come uno degli elementi più caratteristici del patrimonio culturale della nostra regione. Testimonianze alle quali l’esposizione della Cassa ha voluto rendere omaggio.

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